Vendesi terreni pubblici

L’accesso alla terra non passa dalla dismissione di un bene comune

Nei giorni scorsi il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali diffonde, attraverso un comunicato, la notizia della messa in vendita di 8000 ettari della Banca nazionale delle terre agricole. Ma facciamo un passo indietro per capire innanzitutto cosa sia questa banca.

La Banca delle terre agricole è stata istituita dall’art. 16 della legge 152/2016 e si tratta in concreto di una mappatura dei terreni pubblici, gestita da ISMEA, che fornisce informazioni dettagliate sui lotti in questione: dalla collocazione ai dati catastali. Tutti possono accedervi con una registrazione che va effettuata sul sito. L’obiettivo di questo lavoro di mappatura viene espresso chiaramente dal ministro Martina nel suo comunicato quando afferma che “con la Banca nazionale delle terre agricole stiamo sperimentando una nuova forma di rivalutazione dei beni comuni, con l’obiettivo chiaro di favorire lo sviluppo di nuove realtà agricole nei territori.” Fin qui tutto chiaro: il ministro vuole risolvere l’annoso problema della senilizzazione del settore agricolo attraverso la vendita del patrimonio pubblico. Una scorciatoia conveniente soprattutto in tempo di campagna elettorale quando si cerca di conquistare consensi e sembra che parlare di giovani, agricoltura e sostenibilità sia una ricetta utile a procacciare voti. La retorica del lavoro ai giovani non è mai demodè, e se è infarcita di sostenibilità e innovazione piace ancora di più.

Proviamo però a spendere qualche altra parola sulla banca delle terre e sul suo gestore. Prima di tutto chi è ISMEA, l’ente preposto alla gestione della banca? ISMEA è descritta sul suo sito web come “un ente pubblico economico istituito con l’accorpamento dell’Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato Agricolo (già ISMEA), della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, e dell’Istituto sviluppo agroalimentare (ISA) Spa e la Società gestione fondi per l’agroalimentare (SGFA).

Quindi ISMEA è tante cose: un ente che realizza ricerche sul mercato agricolo, che fornisce servizi assicurativi e finanziari, che agevola il rapporto delle imprese agricole con il sistema bancario fornendo garanzie creditizie. Tra le sue funzioni l’ente ha ripreso i mandati ed i compiti che in passato erano della “Cassa per la piccola proprietà contadina”, una cassa che sulla base del dettame costituzionale avrebbe dovuto aiutare i piccoli contadini ad acquistare terra, fornendo mutui a tasso agevolato. Se aprite l’homepage del sito di ISMEA vedrete tra i servizi in primo piano: primo insediamento, autoimprenditorialità, accesso al credito. Il collegamento dunque tra terra e giovani non è difficile da fare. Negli ultimi anni cresce l’attenzione soprattutto dei giovani verso il settore agricolo, una tendenza che sarà confermata anche dalla registrazione di 16 mila utenti alla Banca della terra. ISMEA dunque mappa i terreni derivanti dalle attività fondiarie gestite dall’Istituto, quelli appartenenti a Regioni e Province Autonome o altri soggetti pubblici interessati a dismettere i propri terreni. Ultimata la mappatura il ministro comunica la vendita di 8000 ettari della Banca, giustificandola come un’opportunità per quei giovani che vogliono avviare un’impresa agricola. Ma per acquistare un pezzo di terra ci vogliono soldi, e qui entra in gioco ISMEA che ha come fiore all’occhiello l’ennesimo Primo Insediamento. Questo Primo Insediamento non è quello delle Politiche Agricole Comunitarie, anche se porta lo stesso nome. Non mi addentrerò nella descrizione di entrambi. A grandi linee però si può dire che il Primo Insediamento PAC concede fino a 40.000 euro a fondo perduto per avviare la propria attività agricola, ma la terra è il prerequisito per accedere ai fondi. Il Primo Insediamento ISMEA serve invece per l’acquisto della terra: presenti un progetto aziendale e poi lo stesso ente decide se finanziarlo o no, verificando tempi e modalità di attuazione. In entrambi i casi il requisito fondamentale per l’accesso ai bandi è l’età, che deve essere inferiore ai 40 anni.

Devo ammettere che sono tra quei 16mila iscritti alla banca delle terre. La mia curiosità è sempre troppa e così qualche mese fa mi sono registrata. La banca consiste in un elenco di lotti su base territoriale, la maggior parte degli appezzamenti è collocata nel sud Italia. Fino a qualche tempo fa, cliccando sul territorio di interesse, riportato sulla cartina, riuscivi a visualizzare un elenco infinito di appezzamenti anche di qualche migliaio di metro. Diverse volte mi sono chiesta come potesse riuscire un giovane ad organizzare la propria attività produttiva su lotti di 1000 metri, o su superfici anche più grandi ma senza una casa o un deposito attrezzi. Le mie perplessità sono state risolte proprio in questi giorni quando mi sono recata sui terreni in vendita della Banca ISMEA. Si trovano infatti dei poderi a corpo unico con terreni, frutteti, rustici, laghi, capannoni… si parla di proprietà che possono arrivare fino a 70 ettari e più, venduti con una base d’asta inferiore ai prezzi di mercato. È vero c’è un iter di proposte e controproposte che potrebbe alzare il prezzo, ma al di là del prezzo, chi è interessato a queste grandi proprietà? chi si butterebbe in un’impresa agricola che comporta la gestione di decine di ettari e di proprietà agricole?

Il mio sogno da giovane contadina è quello di riuscire un giorno a gestire un piccolo podere di qualche ettaro, insomma di costruire un’azienda contadina diversificata, multifunzionale e il più possibile autonoma dal mercato. Ovvero di gestire una piccola proprietà contadina. È più semplice che terreni come quelli della Banca finiscano nelle mani di qualche speculatore, o a grandi imprese strutturate che decidono di allargare il loro giro d’affari, piuttosto che ad un giovane che vuole insediare la sua azienda agricola. Solo il quotidiano Repubblica accoglie con entusiasmo la vendita dei terreni, riportando alcuni casi di giovani agricoltori che stavano proprio aspettando la decisione del ministro. Ma non è la prima volta che il quotidiano sostiene le politiche del governo rivolte ai giovani, in particolare quelle per i giovani agricoltori. Ma in fondo in campagna elettorale ognuno porta l’acqua al suo mulino!

Il ricambio generazionale nel settore è un grande problema, ma la vendita dei terreni pubblici non è di certo la soluzione, anzi rappresenta una scorciatoia infruttuosa. È necessario invece pensare politiche agricole che permettano l’accesso alla terra a tutti i giovani che vogliono lavorare nel settore agricolo. Se i terreni pubblici che come dice il ministro Martina sono beni comuni, questi dovrebbero rimanere tali ed essere utilizzati per avviare progetti di cooperazione, di sperimentazione agroecologica, di rivalutazione territoriale. É necessario promuovere il protagonismo dei giovani e delle comunità territoriali nella gestione collettiva del bene comune. Esistono già alcune esperienze che vanno in questa direzione sul territorio italiano, pensiamo a Mondeggi Bene Comune, alla Cooperativa Arvaia, alla Cooperativa Agricola Coraggio.

Realtà che si prendono cura di un pezzo di territorio, che offrono opportunità di lavoro, che producono cibo con metodo biologico gestendo collettivamente le proprie attività.

Si tratta però di casi in controtendenza con il quadro politico e normativo dominante, frutto solitamente di spinte sociali autonome e il cui destino è legato alle scelte delle amministrazioni locali.

Sono necessarie, invece, delle politiche nazionali organiche e coerenti che favoriscano e sostengano anche economicamente questi modelli di gestione territoriale.

Vogliamo la terra, vogliamo coltivarla e vogliamo che il nostro lavoro venga riconosciuto e sostenuto politicamente, che venga ritenuto una via percorribile e legittima per la tutela dei beni comuni.

articolo di Laura Castellani

 

2 pensieri su “Vendesi terreni pubblici

  1. Che tu sappia, ci sarebbe la possibilità che alcuni di questi terreni siano messi a bando? Oppure, l’offerta potrebbe funzionare da sprone per la formazione di Cooperative come quelle che citi? Certo, poi queste dovrebbero comunque inserirsi in una realtà istituzionalizzata, per così dire, e non è questo il caso di Mondeggi.
    La soluzione che auspichi (avvio di progetti di cooperazione, ecc.) mi pare senza dubbio la migliore, con progetti partecipati e concordati e senza spese eccessive.

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    1. Non vengono messi a bando. Vengono messi all’asta, quindi si tratta di vendita in tutto e per tutto, diventando a tutti gli effetti proprietà privata. Non è escluso che vengano acquistati per coltivarli in modo cooperativo, nessuno lo vieta, ma è a discrezione dell’acquirente. Dipende da chi li compra. La sostanza è che un bene comune, che potrebbe diventare incubatore di politiche pubbliche virtuose, viene rimesso all’arbitrio della libera iniziativa dei privati.

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